sabato 24 aprile 2021

Corso Progettazione Accessibile: i PEBA Piani per l’Abbattimento delle Barriere Architettoniche


Mercoledì 21 aprile 2021 si è tenuta la quarta lezione del corso “Progettazione accessibile” organizzato da CRABA, Centro Regionale per l’Accessibilità e il Benessere Ambientale con la collaborazione di CLEBA, il Comitato Lodigiano per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche e del Comitato Zero Barriere di Crema. La lezione è stata rivolta ai PEBA, i Piani per l’Abbattimento delle Barriere Architettoniche che, come ricordato dall’arch. Armando De Salvatore, direttore del Corso e del CRABA, costituiscono un prezioso ma inapplicato strumento urbanistico diventato obbligatorio e previsto, oltre che dalla legislazione nazionale, dalle disposizioni regionali che, in Lombardia, prevedono per tutti i Comuni l’accantonamento del 10% degli oneri di urbanizzazione proprio per la redazione di questi Piani. Tuttavia l’arch. De Salvatore ha evidenziato il dato sconcertante dell’indagine ANCI, nella quale risulta che il 94% dei comuni lombardi è senza un PEBA, nonostante siano passati oramai vent’anni dall’emanazione dell’obbligo. Ma i dati negativi non si fermano qui: in quell’esiguo 6% in realtà pochi sono i Comuni che hanno portato a termine la pianificazione e ancor meno quelli che l’hanno attuato concretamente.

Indagine ANCI sui PEBA in Lombardia

È un quadro preoccupante” afferma l’arch. Giovanni Barin di CLEBA Lodi, “che, casomai ce ne fosse bisogno, conferma la nostra insufficiente educazione alla convivenza civile; è una vera e propria discriminazione che, oltretutto, ricadrà prima o poi su tutti nel momento in cui si diventa anziani o con qualche fragilità. Serve un deciso cambio di passo, un impulso che deve arrivare innanzitutto dalle amministrazioni comunali. Noi che facciamo parte delle associazioni che lavorano con la disabilità abbiamo fatto, in questi anni, iniziative di ogni genere per sensibilizzare sulla necessità di una qualità diffusa del benessere ambientale, investendo anche risorse non certo indifferenti. Certo continueremo, ma adesso sono i nostri amministratori che devono prendere l’iniziativa. D’altro canto Regione Lombardia ha fatto un importante primo passo che non può restare ignorato proprio da chi ha l’obbligo di investire nella qualità urbana.”

L’arch. De Salvatore ha infatti richiamato il recente stanziamento dello scorso dicembre di un milione di euro per l’elaborazione dei PEBA a favore dei comuni lombardi con meno di cinquemila abitanti; ma anche la prossima costituzione di un registro dei PEBA quale supporto per i comuni di piccole e medie dimensioni per affrontare questo percorso in grado di generare o ri-generare la qualità delle città.

Come affermato dal primo relatore della lezione, l’architetto Iginio Rossi, "dentro la città c'è la vitalità che si manifesta in una sorta di “stanze senza tetto” formate via via nella storia della città; nella capacità di generare la convivenza e la qualità della vita che vede le persone al centro del rapporto funzioni-relazione-stratificazione". Ma la città ha un cambiamento continuo che ci segue senza quasi accorgersene. Diventa fondamentale osservare i cambiamenti per capire come avviene la metamorfosi della città. Nelle tante modalità di intervento per ricucire le trame urbane sfilacciate nel cambiamento, l'esame delle barriere esistenti misura la qualità della vita nella prospettiva per tutti, interessando tutte le variabili integrate che lo compongono.

Il PEBA è quindi un'occasione di rilancio della qualità del territorio, che coinvolge trasversalmente tutti gli assessorati e le funzioni cittadine. È un Piano che va oltre la logica dei confini tipica della pianificazione che non rivitalizza la città, e che, invece, include nella partecipazione della città i suoi cittadini. Il PEBA rappresenta perciò, più che un "piano", un approccio culturale che utilizza strumenti che vedono nella rigenerazione urbana la strategia per offrire alle persone sicurezza, qualità, vivibilità.

È un processo di Governo del territorio che coinvolge la rete dei saperi presente in ogni luogo; che risolve la mancanza di sistematicità e la frammentarietà che contraddistingue sempre di più le città italiane. D'altro canto, questa pianificazione ha lo scopo di coinvolgere in un ciclo continuo le persone, che sono la vita delle città, che è fatta di connessioni che sono alla base dell'inclusione; e l'inclusione è l'elemento che libera le menti delle persone. Questo schema che si può ripetere all'infinito è alla base del progetto coordinato da Iginio Rossi e da INU "Città accessibili a tutti".

Il secondo relatore, Leris Fantini, afferma che è necessario "progettare per le persone, non per le norme" per tendere a una progettazione per le persone a partire dalla relazione con quelle più fragili. Bisogna però abbattere vecchie abitudini, approcciando il PEBA con una logica di sistema, pena l'elaborazione di un piano inattuato e inattuabile.

L’arch. Fantini ha una vasta esperienza nei PEBA: nel suo intervento ha citato una serie di esempi di pianificazione nei quali il PEBA diventa il punto di partenza con un nuovo approccio culturale oltre che di lavoro che porta allo sviluppo dei Piani dell'Accessibilità Urbana.

Ma è necessario creare nel tempo una cultura, una coscienza che entra nel DNA delle persone, dal cittadino al progettista, che porta risultati dentro uno schema di risorse. Serve in primis intervenire sugli strumenti che già esistono nelle città, nei piani regolatori già approvati, che vengono affiancati dall'articolazione del PEBA che ne definisce il dettaglio per l'accessibilità degli interventi.

La Legge 104/92 torna ad essere la pietra angolare anche per la progettazione senza essere invece quella norma conosciuta dai molti solo per il "permesso". A quasi trent’anni dalla sua ideazione, è molto di più e va studiata a fondo anche per cogliere tutti quegli stimoli ad una progettazione e pianificazione di qualità.

Dalla relazione dell’arch. Fantini emerge come non sia solo una mera questione di investimento finanziario quel che determina la successione degli stralci e degli interventi per ottenere realtà accessibili; può anche essere legata alla manutenzione ordinaria e straordinaria che ogni giorno viene effettuata nella città, che viene inclusa nei processi di gestione della città. Valutare ogni intervento nella prospettiva della vivibilità e accessibilità deve diventare un processo normale per ogni tecnico della pubblica amministrazione. E dove l'accessibilità viene studiata e compiuta c'è anche sicurezza.

Nel suo intervento l'arch. Fantini ha mostrato come la pianificazione si avvalga ormai di strumenti informatici avanzati, ad es. nel modello gestionale di Verona con schede tipologiche per ogni intervento che riguarda sia elementi urbani che edifici. Oppure con l'esempio di Ferrara o di Vicenza. A tutto vantaggio della flessibilità e immediatezza di una pianificazione che, nella sua elevata complessità, diventa elemento prioritario per la fruibilità dei contenuti da parte dei tecnici e progettisti.

Osservando la rete pedonale accessibile della città di Brescia con gli oltre trenta stralci che progressivamente sono stati attuati, afferma l’arch. Wojciechowski del CLEBA, si scopre come in una città quale anche la città di Lodi urga una programmazione nuova. Lodi deve investire in modo significativo sull'accessibilità con un cronoprogramma pluriennale sia a breve che lungo termine. Con obiettivi condivisi e controllati, con interventi che possano iniziare prima possibile.

In definitiva, il PEBA non è un piano limitato alle barriere, e non riguarda certo "solo" la disabilità; in questi anni ormai è evidente la dirompenza della qualità della città per tutti negli interventi sull'accessibilità. Il PEBA è diventato in realtà una vera e propria Pianificazione per il Benessere Ambientale, che, guarda un po', ha il medesimo acronimo del piano originario.


La linea che ha sotteso le relazioni ha mostrato come la pianificazione inclusiva abbracci una logica prestazionale; elemento che emerge nel focus finale curato dall'architetto Barbara Chiarelli del Dipartimento di ingegneria e architettura Università degli studi di Trieste, che ha presentato le “Linee Guida per la predisposizione di PEBA in Friuli Venezia Giulia”: un sistema organico e flessibile per rilevare e risolvere, eliminandole, le criticità generate dalle barriere ma anche da situazioni che esulano strettamente dalla singola barriera ma che possono essere studiate per modificare una contesto complesso. 

Il PEBA diventa un motore per innovare i piani e i progetti preesistenti, incluso il regolamento edilizio secondo criteri omogenei, così da concorrere all’implementazione di un progetto di mappatura generale dell’accessibilità alla scala comunale.


“Ma, dice ancora l’arch. Barin, purtroppo c’è sempre un “ma”: attuare concretamente e continuativamente un PEBA è una responsabilità sulle spalle di tutta la comunità cittadina; è questione etica e morale verso noi stessi e verso chi vivrà la città con e dopo di noi. È, in definitiva, una questione culturale, e questo è uno dei principali motivi per cui il corso è stato concepito.”

La sommatoria delle lezioni compiute sin qui sarà valutata nell’integrazione con le risorse presenti su tutti i territori nell’ultimo incontro in programma per mercoledì 28 aprile 2021. 

sabato 10 aprile 2021

Corso Zero Barriere: progettazione inclusiva per le disabilità uditive e intellettive

Lo scorso 7 aprile 2021, all’interno del corso di specializzazione sulla Progettazione Accessibile per i tecnici della Pubblica Amministrazione e per i liberi professionisti, si è tenuta la lezione dedicata agli aspetti progettuali in relazione alle disabilità uditiva e intellettiva, rispettivamente tenuti dai rappresentanti di CLEBA, architetti Giovanni Barin e Nicoletta Wojciechowski.


Il corso, organizzato da CRABA, il Centro Regionale per l’Accessibilità e il Benessere Ambientale della Regione Lombardia, si articola in diverse lezioni che abbracciano le tante sfere legate all’accessibilità, all’inclusione e al benessere ambientale, per offrire ai progettisti un panorama il più possibile completo nella prospettiva biopsicosociale dell’ICF sia da una prospettiva metodologica e legislativa, sia nell’approfondire le tematiche delle possibili soluzioni progettuali vicine alle specifiche disabilità.


Proprio in quest’ultimo aspetto si inquadra il focus curato da Cleba Lodi. Nell’ambito della sordità e dell’ipoacusia è stato innanzitutto illustrato dall’architetto Barin il funzionamento dell’apparato uditivo, degli ausili uditivi riferiti alle protesi e agli impianti cocleari, sia dell’utilizzo della LIS, la Lingua dei Segni Italiana, chiarendo che la progettazione di luoghi e spazi inclusivi e privi di barriere sensoriali è tale solo se adeguata ai bisogni comunicativi a 360 gradi.

I criteri progettuali sono stati declinati con esempi di realizzazioni inclusive in Italia e all’estero. L’approccio del progetto alla disabilità uditiva rappresenta una sfera delicata dato che si manifesta come una disabilità invisibile i cui effetti sono troppo spesso interpretati erroneamente come generica incapacità della persona a rapportarsi con gli altri e, quindi, con esclusione dal contesto sociale ed erroneamente bollata con l’ormai abrogato, anche legislativamente, termine “sordomuto” (ricordiamo che dal 2006 va utilizzato il termine “sordo”, ad indicare che la capacità fonatoria dell’individuo è del tutto integra). Mentre è proprio il contesto che, se ben calibrato, è il primo passo per un’inclusione efficace con benefici per tutti, minimizzando gli effetti delle ipoacusie verso un rapporto paritetico. È stato approfondito l’aspetto tecnologico dei dispositivi utilizzabili sia come corollario degli ausili uditivi, sia ad integrazione sensoriale con la sfera percettivo-visiva. L’integrazione multisensoriale tanto più è importante in questa epoca di utilizzo delle mascherine respiratorie che hanno eliminato la preziosa possibilità di lettura diretta del labiale e che mascherano il suono, aumentando ulteriormente le difficoltà uditive.


Se le persone con disabilità uditiva in Italia sono nell’ordine di circa 60 mila persone (senza contare le ipoacusie lievi), nel trattare le disabilità intellettive si compie un passaggio di scala, passando ad esempio per i bambini da un rapporto di 1 su 1000 per la sordità, ad 1 caso su 100 per la sindrome autistica. Si tratta di numeri significativi che in Italia arrivano alla soglia di oltre 1 milione e mezzo di persone considerando lo spettro autistico, le altre sindromi di origine genetica quali la sindrome di Down, e le demenze senili. Nella necessariamente sintetica introduzione al tema data dall'architetto Wojciechowski si evince un salto nella complessità dell’approccio progettuale analitico, dato che nella denominazione “intellettive” vengono abbracciate casistiche assai differenti, con criteri progettuali che esplorano numerose dinamiche.


Si è parlato della possibilità di progettare consapevolmente ambienti sicuri, curati e flessibili nella percezione sensoriale di luce, suoni, colori e forme, in cui la presenza di spazi calmi e intimi sono in grado di creare luoghi protetti in cui trovare rifugio in alternanza ad ambienti frequentemente iperstimolanti. Spazi in cui l’apprendimento, la comunicazione interpersonale e l’orientamento vengono soddisfatti sia da elementi architettonici e altamente tecnologici attentamente progettati, sia da criteri di comunicazione visiva e linguaggi simbolici e iconici della Comunicazione Alternativa Aumentativa. Le casistiche dove applicare i concetti progettuali osservati non hanno limiti: dalle dimore private alle scuole, ai luoghi di cura, alle stazioni fino agli stessi veicoli di trasporto, ai parchi pubblici, ai musei e ai luoghi del turismo, alla stessa rete internet. Le soluzioni prospettate possono diventare l’ago della bilancia tra la possibilità di un’efficace convivenza sociale di tutti e la segregazione derivata dalla mancata applicazione di tali criteri.

Nel modulo del 7 aprile, come nel precedente del 31 marzo scorso sulle disabilità visive, è emerso ripetutamente il bisogno di considerare il quadro di insieme senza dimenticare che le disabilità possono essere plurime e solo a progetti fondati su tale consapevolezza potranno corrispondere soluzioni adeguate ai bisogni di tutti.

Il corso proseguirà il prossimo 14 aprile con il Terzo modulo il cui focus è dedicato alle persone con disabilità motoria, dal titolo emblematico: Dal rispetto della normativa alla pratica progettuale sostenibile socialmente: “il progetto è a norma ma lo spazio è discriminante/inutilizzabile: l’operazione è perfettamente riuscita ma …”